sabato 10 agosto 2013

Il gusto unico del ristorante Furnirussi Tenuta

Ciciri e tria, muersi, sagne ncannulate, pezzetti, stijule, cialleddhra, cecamariti, stanatu e paparine e potremmo andar avanti per molte pagine. Son nomi di piatti salentini le cui origini affondano nella storia di un groviglio di popoli che si sono intrecciati e sovrapposti.
Partecipando a ciò che il senso comune chiama evoluzione.
Un pezzo di terra immerso tra due mari, così striato di cultura e di storia, fiero della propria identità, tanto forte da essere aperta, pronta al confronto e anche alla contaminazione, capace di fondersi con altre culture. Per millenni i conquistatori sono stati conquistati.
La ricetta non è difficile.
Prendi … un angolo di Eden sarebbe l’incipit tanto naturale da scivolare nel banale, che di angoli di Eden è pieno il mondo e ne son piene le pagine che li raccontano.
E invece bisogna prendere una strada apposita per recarsi in un posto apposito: Italia, Puglia, Salento: a Furnirussi, alla contrada Giammanigli di Serrano, frazione di Carpignano Salentino.
Da Furnirussi non si passa per caso, è una scelta. O si fa o si accetta di lasciar la propria conoscenza monca della più grande concentrazione di biodiversità vegetale che si possa sperare di incontrare.
 
 La Serra d’Otranto è, per sé stessa, prodiga di frutta e di erbe, ma a Furnirussi la mano umana (Anna Maria) ci ha messo del suo: la più ampia varietà di fichi e di pere che si possa immaginare, piante da frutto, da aroma e da piacere a non finire. Una specie di orto botanico con 24 suite, un laghetto e tante altre cose che si possono perlustrare su www.furnirussi.com. Facile dedurre che un Alessandro, solida scuola e trentaquattro anni di passione culinaria abbia trovato il castone nel quale adagiarsi.
Come ciò non bastasse, due passi da Furnirussi e si incontra una cooperativa (Nuova Generazione) che della coltivazione bio e della lavorazione dei prodotti bio ha fatto il suo business. En plein!
Alessandro in mezzo a cotanta abbondanza, si crogiola raccontando nei suoi piatti il Salento profondo. Ben oltre il folklore e il tarocco falso-popolare. Alessandro narra l’essenza del Salento. Combina con sapienza il Gambero violetto di Gallipoli (il cui valore commerciale rispecchia le straordinarie ed inimitabili proprietà organolettiche) con il paté di nocciola e financo il wasabi, il riso carnaroli con il merluzzo e la buccia d’arancia, l’orata con la patata sieglinde, il paté di oliva celina e le essenze di cipolla rossa, “melunceddhra” e filetto di pomodoro ciliegino, la “frisa” che diventa un dolce da urlo perché i fichi son capaci di accompagnarti a pranzo dal principio alla fine. Basta scegliere quelli giusti e qui, a Furnirussi, ve ne sono più di ottanta specie.
Piatti che seguono il ciclo delle stagioni e della terra che c’è intorno, ma proprio intorno …
E un rosato fresco, di negro amaro, dal colore brillante e rosso (come i forni che punteggiano la contrada), dagli aromi di frutta di stagione e dal palato pieno e di giusta sapidità. Assisi su una seggiola con panorama d’incanto, profumi d’incanto e silenzio d’incanto. Appare talvolta una giovane creatura, la cui figura si staglia nella luce del meriggio salentino il cui nome la racconta tutta: Angelica.
Il resto è lusso, come ve ne è certamente altro nel Salento. Angoli di Eden ve ne sono, creati in ragione del secondo giorno (Genesi, 11): “Dio comandò ancora: «La terra faccia germogliare la verdura, le graminacee produttrici di semenza e gli alberi da frutto, che producano sulla terra un frutto contenente il proprio seme, ciascuno secondo la propria specie". E così avvenne.»
È superbia immaginare che prima del “E così avvenne” era scritto “come a Furnirussi”?
È difficile arrivarci ai Furnirussi, ma assai più difficile è andar via. Un piccolo consolo è portarsi via la composta di fichi: testimone concreto che Furnirussi esiste per davvero e t’attende ancora.

(©)pino.deluca@leccellente.it